IO MI SONO SCOCCIATA
Com’è difficile ricordare e raccontare quando la mente si rifiuta di ‘mettere a fuoco’…
In un tardo pomeriggio d’autunno mi trovavo a percorrere, a bordo della mia automobile, una strada comunale della Lombardia; i marciapiedi brulicavano di gente; i negozi, pure affollati, mostravano sfavillanti vetrine.
Avevo appena svoltato l’angolo immettendomi in un senso unico, quando, all’improvviso, dal parcheggio lato sinistro della stradina appena imboccata un’auto si lanciava in corsia davanti a me e mi costringeva a frenare di colpo per evitare il tamponamento. La precedenza era mia e non l’avrei ceduta, quindi, dopo breve discussione con il conducente avventato, oltrepassavo l’ostacolo lasciandomi alle spalle la vettura.
Dallo specchietto retrovisore avevo notato però che mi seguiva a una distanza troppo ravvicinata, forse per spaventarmi.
Avevo percorso solo pochi metri quando, ancora in modo inaspettato, questa volta dal parcheggio lato destro della stradina, un altro veicolo retrocedeva speditamente togliendomi la precedenza e occupando quell’unica corsia; noncurante si allontanava. Ero costretta a frenare di nuovo con prontezza per evitare di provocare danni, ma la mia auto veniva urtata posteriormente.
Io e mia madre, non più giovanissima, seduta accanto a me, sobbalzavamo sul sedile.
A quel punto spegnevo il motore e con pacata decisione mi avvicinavo al responsabile del sinistro, che cominciava a gesticolare impaziente. Lo invitavo gentilmente a compilare il modulo di constatazione amichevole, ma il tipo non ne voleva proprio sapere; anzi, mi rispondeva con assoluta riluttanza e ostilità.
Nel frattempo anche mia madre era scesa e mi aveva raggiunta, dimenticando la portiera aperta. La situazione si stava facendo pesante, ma non avevo alcuna intenzione di lasciar perdere, anzi, la necessità di difendere la mia posizione era un punto fermo, una priorità.
Con la massima tenacia contattavo le Forze dell’Ordine descrivendo l’accaduto, ma il tipo mi intimava irrequieto e minaccioso di staccare subito il collegamento. Al mio diniego, si rimetteva alla guida, retrocedeva e con veemenza nell’espressione e nei movimenti puntava la portiera aperta, lanciandosi contro, come impazzito.
Le automobili parcheggiate su entrambi i lati e la mia auto ferma in carreggiata, per di più con la portiera aperta, impedivano il passaggio a qualsiasi tipo di veicolo.
Il malintenzionato si era sentito in trappola e ripeteva a gran voce che me l’avrebbe sfondata quella portiera, me l’avrebbe sfondata…. pur di superare l’ostacolo e andarsene. Incredula e impietrita dinanzi a tanta aggressività, gli imploravo allora di fermarsi! Di staccarsi subito dalla mia auto! Ma lui niente, premeva più forte sull’acceleratore, quasi digrignando i denti come un animale inferocito. Intanto le cerniere della portiera, sotto sforzo, cominciavano a scricchiolare e io, disarmata, mi aspettavo ormai di vedere la portiera a terra.
Spaventata e inerme, mi guardavo attorno almeno in cerca di uno sguardo amico, un gesto di conforto fra i passanti sempre più frettolosi. Nessuno. Nessuno pareva accorgersi dell’accaduto; solo due ragazzini appoggiati alle loro bici sgranavano gli occhi.
Improvvisamente, con manovre maldestre quell’energumeno retrocedeva e io, terrorizzata più che mai, mi precipitavo a chiudere la portiera, non sapendo cos’altro avesse in mente. A quel punto sfrecciava via sgommando trionfante mentre io non potevo fare a meno di urlargli a gran voce che non gliel’avrei data vinta!
Poi il silenzio.
Attorno a me un silenzio assoluto e devastante.
I passanti, tutti, si erano dileguati. I negozi, prima brulicanti, ora erano deserti.
Solo il mio cuore batteva a mille.
Come reduce da un’amara sconfitta, mi accertavo che mia madre non fosse ferita e lei, con un fil di voce ma con tono fermo mi confessava che quella portiera l’aveva lasciata aperta apposta, per impedirgli di fuggire. Allora la stringevo forte a me, la mia eroina, in un lungo lunghissimo abbraccio…
Intanto i due ragazzini, ancora increduli, sostenevano di aver assistito all’intera scena e ci avrebbero garantito il massimo sostegno.
L’indomani, ancora scossa, ero decisa ad andare fino in fondo alla faccenda. Mi recavo presso l’assicurazione, ma prima ancora presso le Forze dell’Ordine.
Depositavo una dichiarazione dettagliata dei fatti e pretendevo non so cosa, qualcosa che mi rendesse giustizia, anche perché il fuggitivo risultava già schedato.
Invece niente.
Mi veniva risposto che non avendo subito io, noi, alcuna violenza fisica, purtroppo tutto si sarebbe fermato lì.
Cosa?…
Com’era possibile? …
E le ferite dell’anima?…
Quelle che difficilmente si sarebbero rimarginate?
No, non potevo accettarlo. Ero davvero doppiamente scocciata! Ribadivo le mie ragioni, ma niente.
Intanto una strana sensazione di vuoto e di abbandono, misto a sorda rabbia, mi stavano assalendo e anche in seguito sdegno e amarezza mi hanno accompagnata per diversi giorni.
Oggi a distanza di tempo sono riuscita a digerire parzialmente l’abuso, un’esperienza che di certo mi ha corroborato, rinvigorendo ancor più la mia sete di giustizia. Sempre e a qualsiasi costo.
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